È una delle domande che più spesso la gente fa al motore di ricerca. Vi rispondiamo noi
Era il 1978 quando la coppia di fruttivendoli Remo e Augusta Proietti, cioè Alberto Sordi e Anna Longhi, decisero di farsi guidare dai tre figli, studenti universitari, nella scelta delle vacanze. Intelligenti ovviamente, come recita il titolo dell’episodio del film Dove vai in vacanza?: e così i due paciocconi romani si ritrovano a visitare la Biennale di Venezia, costernazione dopo costernazione. Un alto muro di cemento che dovrebbe «sottrarre la vista sulla Laguna», una serie di giganteschi imbuti capovolti («Pure io li metto così quanno spiccio ‘a cucina», commenta Augusta), sagome adagiate a terra che intralciano il cammino. «So’ cose che noi non potemo capì», commenta Remo rassegnato. Fa ridere, certo ma questo film dice moltissime cose (serie) sull’arte e soprattutto dimostra in modo molto chiaro una cosa: non tutti capiscono le opere contemporanee. Anzi, pochi le comprendono, a meno che non siano accompagnate da una spiegazione e possibilmente chiara. Ecco perché tra le domande più rivolte a Google c’è: «Perché non capiamo l’arte contemporanea?»
Proviamo a rispondere con semplicità. E lo facciamo partendo proprio dai due simpatici coniugi Proietti: perché un signore di mezza età con una istruzione medio bassa (ma questo vale anche per la maggior parte dei laureati) come Remo dovrebbe capire che cosa significa un muro di cemento di 8 metri realizzato dall’artista (Mauro Staccioli, uno dei più discussi di quella Biennale di cui si parla nel film) di fronte al viale di accesso al Padiglione Italiano, in una città meravigliosa come Venezia? Potrebbe significare tutto e niente:
Mauro Staccioli, «Muro», XXXVIII Biennale d’arte
incomunicabilità? E perché? Rispetto a che cosa? Indica una divisione? E che cosa divide? Boh, ripete Remo, facendosi più teso e silenzioso. Direte voi: ma queste opere vanno spiegate. Bene, leggiamo parte del testo critico che accompagnava il catalogo del 1978: «Il lavoro progettato ed eseguito sul posto, con la sua presenza fisica e specificità plastica, è un intenzionale strumento di intervento critico nella contestualità ambientale: una provocazione e un’ipotesi per un diverso rapporto fruitivo con l’ambiente». Che significa? Niente. O quasi.